esame avvocato 2010

Gruppo di Lavoro su svolgimento Traccia 1

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(XXX)
view post Posted on 15/12/2010, 14:27




la parte del parere in cui non prevede l'oblazione per il 660..anche a mio avviso quella bozza di parere è fatto discretamente ma nella parte finale ci sono imprecisioni e manca la parte giurisprudenziale...come scritto sopra al momento non ho il tempo materiale per redigere un parere completo ma da quel che hai scritto credo tu possa farlo e confido in te per la redazione di un parere integrato e orretto ;-) un bacione
 
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mukkopazzo
view post Posted on 15/12/2010, 14:32




io non me la sento di insistere troppo su 612 e 660.... diciamo che credo bisogna prenderli alla larga e far capire solo che ci si è postiil problema...
è una traccia sullo stalking con l'imprecisione di non dire fino a quando ci son stati i comportamenti...
 
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]M3D[
view post Posted on 15/12/2010, 14:33




2a traccia ....

riferimenti:

SENT 2010 14914 IN SENSO FAVOREVOLE

SENT 2010 28210 IN SENSO CONTRARIO


Pretesa di denaro dai genitori con maltrattamenti e lesioni, è tentata estorsione
Cassazione penale, sez. VI, sentenza 19.04.2010 n. 14914
Si configura la fattispecie della tentata estorsione in danno dei genitori qualora il figlio chieda loro del Denaro con il ricorso a maltrattamenti e a lesioni, ovvero "in assenza di condizioni legittimanti la pretesa consegna" della suddetta somma.
È quanto ha recentemente statuito la Corte di Cassazione con la sentenza 19 aprile 2010, n. 14914 con la quale i Giudici di legittimità hanno negato la sussistenza del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni di cui all'art. 393 c.p., ritenendo, di converso, ravvisabile quello ex art. 630 c.p..
Nel caso de quo, il soggetto ricorre in Cassazione avverso la sentenza della Corte d'Appello con la quale era stato condannato per i reati di tentata estorsione, maltrattamenti in famiglia e lesioni in danno della madre, ritenendo legittima la sua condotta considerato che, all'epoca dei fatti, privo di lavoro, aveva diritto, per il grado di parentela, ad ottenere un contributo da parte dei genitori.
Tuttavia, il Supremo Collegio, nel dichiarare l'inammissibilità del ricorso, ritiene corretta la qualificazione giuridica del reato ex art. 629 c.p.. I giudici di legittimità, pur ammettendo che i genitori debbano sottostare alle disposizioni di cui agli artt. 147 e 148 c.c., per quanto concerne il mantenimento dei figli, sino a quando questi ultimi non abbiano raggiunto una sostanziale indipendenza economica - indipendentemente o meno dalla maggiore età - ritengono che nel caso di specie la richiesta di denaro sia avvenuta con "modalità violente" accertate; inoltre, "non risulta affatto la prova che le somme fossero destinate al mantenimento dell'imputato". Quindi non vi è prova circa la corrispondenza causale tra la richiesta di denaro e l'esercizio di un diritto dell'imputato quale il mantenimento per mezzo dell'ausilio dei genitori.
Secondo la Corte di Cassazione, quindi, il "difetto di tale essenziale connotazione causale dell'agire del ricorrente" non può che far propendere per "l'azione esecutiva e la soggettività del delitto di estorsione".
Delitto di estorsione ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni: brevi spunti di riflessione
Un aspetto particolarmente interessante del delitto di cui all'art. 629 c.p. consiste nel suo rapporto con l'altro delitto preso in considerazione dalla sentenza in commento, ovvero l'esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle persone. Da sempre la giurisprudenza si è preoccupata di individuare gli elementi differenziali di queste due fattispecie, opinando, in maniera oramai consolidata, per un criterio di carattere soggettivo.
Invero, merita accoglimento l'impostazione ermeneutica che distingue i due reati sotto il profilo dell'elemento soggettivo, che per l'estorsione si configura nel fine di conseguire un profitto, nella consapevolezza di non averne alcun diritto o titolo; nel secondo si ha la ragionevole opinione - pur errata - della sussistenza di esso.
Orbene, si configurerà correttamente l'ipotesi punitiva di cui all'art. 393 c.p. ove il soggetto agisca nella "convinzione ragionevole della legittimità delle propria pretesa", nonché "che quanto egli vuole gli compete" (V., ex multis, Cass., Sez. II, 15.06.04, n. 26887). Pertanto, ciò che rileva ai fini discretivi, non è tanto la condotta materiale posta in essere - che può essere addirittura identica nei due casi - quanto l'elemento intenzionale che solo nella estorsione è caratterizzato dalla consapevolezza che quanto il reo pretenda non gli è in alcun modo dovuto. Tuttavia, accanto a questo filone interpretativo, si può rinvenire un costante orientamento giurisprudenziale - cui sembra conformarsi la sentenza in esame - secondo il quale la finalità estorsiva della condotta posta in essere potrebbe di per sé rinvenirsi nella stessa modalità costrittiva. Aderendo a tale impostazione, quindi, si sostiene che se la minaccia o la violenza si manifestano in forme di tale forza intimidatoria da andare al di là di ogni ragionevole intento di far valere un proprio preteso diritto, allora la coartazione non può che integrare i caratteri dell'ingiustizia e l'ipotesi concreta quelli dell'art. 629 c.p. (V., tra le altre, Cass., Sez. II, 10.12.04, n. 47972).
Ciò trova conferma nella circostanza che, secondo costanti interventi della Suprema Corte, nel delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, la condotta violenta o minacciosa deve essere proporzionale e strettamente connessa con la pretesa di un diritto; agendo diversamente si avrebbe, infatti, un utilizzo gratuito ed, appunto, sproporzionato della forza, tale da imporre un annullamento o una limitazione della capacità di autodeterminazione della volontà del soggetto passivo (Cass., Sez. II, 26.09.07, n. 35610).
 
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(XXX)
view post Posted on 15/12/2010, 14:33




senza dubbio però nel momento in cui si cita credo sia corretto fare un accenno alla ventilata ipotesi dell'oblazione
 
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riro73
view post Posted on 15/12/2010, 14:33




allora sulla prima ho trovato questo che potrebbe essere utile per lo svolgimento

Integrano il delitto di atti persecutori, di cui all'art. 612-bis c.p., anche due sole condotte di minaccia o di molestia, come tali idonee a costituire la reiterazione richiesta dalla norma incriminatrice.

Cosi hanno affermato i giudici della Suprema Corte con la sentenza 21 gennaio 2010, n. 6417 (depositata il 17 febbraio 2010), con una delle prime pronunce di legittimità riguardanti il delitto di atti persecutori (c.d. "stalking"), ex art. 612-bis c.p.

Nel caso di specie il GIP rigettava l'istanza di revoca o di sostituzione della misura cautelare degli arresti domiciliari presentata dall'indagato.

A seguito di appello ex art. 310 c.p.p., il tribunale del riesame confermava il provvedimento di rigetto emesso dal GIP, evidenziando come l'indagato si fosse reso autore non solo di vari reati (minacce, violenza privata e danneggiamento) commessi in epoca compresa fra il 2 gennaio ed il 21 febbraio 2009, ma anche di ulteriori condotte poste in essere nei giorni 25 e 26 febbraio 2009.

In proposito è utile ricordare come la fattispecie di cui all'art. 612-bis c.p. sia entrata in vigore proprio il 25 febbraio 2009, essendo stata introdotta nel nostro ordinamento con il d.l. 23 febbraio 2009, n. 11, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 45 del 24 febbraio ed entrato in vigore il giorno successivo alla pubblicazione. Con la legge n. 38 del 23 aprile 2009, il Parlamento ha poi convertito con modificazioni il d.l. 11/2009. Si osserva, infatti, come uno dei profili problematici, soprattutto nella prima fase di applicazione della norma, riguardi l'irretroattività della nuova fattispecie. Si pensi, come nel caso in esame, all'ipotesi in cui le condotte persecutorie commesse in epoca successiva all'entrata in vigore del decreto legge si vadano ad aggiungere ad altre realizzate precedentemente.

Un altro degli aspetti che caratterizza l'elemento oggettivo del delitto di cui all'art. 612-bis c.p. consiste nella reiterazione delle condotte persecutorie. Le minacce e/o le molestie devono essere reiterate, seriali, devono cioè succedersi nel tempo. La reiterazione è, infatti, elemento costitutivo della fattispecie[1], con la conseguenza che i singoli atti, se posti in essere in un unica occasione, non integrano il delitto di atti persecutori bensì altre fattispecie già conosciute dall'ordinamento (es.: minaccia, molestie, violenza privata), eventualmente unite dal vincolo della continuazione (art. 81 c.p.). La struttura del reato di atti persecutori è quindi disegnata sul modello del reato necessariamente abituale, caratterizzato dalla sussistenza di una serie di fatti commissivi. Il reato si perfeziona allorché si realizzi un minimo di tali condotte collegate da un nesso di abitualità e può formare oggetto anche di continuazione, ex art. 81 cpv. c.p., come nell'ipotesi in cui la reiterazione sia interrotta da un notevole intervallo di tempo tra una serie di episodi e l'altra[2]. Pertanto, se nel periodo considerato si verifica una parentesi di normalità nella condotta del soggetto attivo, un intervallo di tempo fra una serie e l'altra di episodi lesivi del bene giuridico tutelato dalla norma, non viene meno l'esistenza del reato, ma ciò può dar luogo alla continuazione.

In relazione al reato necessariamente abituale la mancata indicazione del numero di episodi necessario per integrare la serie minima può comportare qualche tensione con il principio di determinatezza.

Ciò premesso, si osserva come, nel caso di specie, il difensore dell'indagato abbia proposto ricorso per cassazione basando i motivi proprio sulle due questioni poco sopra richiamate: assumeva, infatti, che gli episodi precedenti l'entrata in vigore della norma incriminatrice non potevano essere presi in alcuna considerazione, con la conseguenza che le due sole condotte del 25 e 26 febbraio 2009 non erano suscettibili di integrare il delitto di atti persecutori, data la natura abituale dello stesso. Sotto diverso profilo, quello dell'adeguatezza della misura, il difensore evidenziava altresì che le esigenze cautelari avrebbero potuto essere soddisfatte con la più lieve misura del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, introdotta dall'art. 282-ter c.p.p..

La Suprema Corte, osservando come il termine "reiterare" denoti la "ripetizione di una condotta una seconda volta ovvero più volte con insistenza", rigettava il ricorso presentato dal difensore dell'indagato ed enunciava il principio di diritto in base al quale anche due sole condotte di minaccia o di molestia sono idonee a costituire la reiterazione cui l'art. 612-bis c.p. subordina la configurazione della materialità del fatto.

In sede di commento a prima lettura del reato di nuovo conio, all'indomani della sua entrata in vigore ed in attesa delle prime pronunce di legittimità, si era sostenuto[3] che il numero minimo di condotte richieste per l'integrazione della materialità del fatto avrebbe dovuto essere individuato, nell'ambito della discrezionalità del giudice, anche sulla base della capacità della condotta persecutoria di ingenerare gli eventi previsti dalla norma. Peraltro, la stessa giurisprudenza di legittimità, in relazione al delitto di maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli, di cui all'art. 572 c.p., aveva talvolta portato l'interprete ad interrogarsi sul concetto stesso di reato necessariamente abituale[4]. La Suprema Corte, inoltre, per tracciare la linea di confine fra la configurazione di ripetuti atti lesivi all'interno di un contesto familiare ed il delitto abituale di maltrattamenti in famiglia, anche recentemente[5] aveva posto l'accento sull'elemento psicologico, giungendo ad escludere la sussistenza del requisito della abitualità sulla base del rilievo secondo cui i singoli atti lesivi avevano rappresentato forme espressive di reazioni determinate da tensioni contingenti, anche se non infrequenti, nel contesto familiare in questione. Tali atti, infatti, non erano risultati tra loro connessi e cementati dalla volontà unitaria e persistente dell'agente di sottoporre i soggetti passivi ad ingiuste sofferenze morali o fisiche, sì da rendere abitualmente doloroso il rapporto relazionale.

Nella pronuncia oggetto del presente commento, invece, i giudici di legittimità hanno basato la loro decisione esclusivamente sul significato letterale del termine "reiterare", evidenziando come lo stesso denoti "la ripetizione di una condotta una seconda volta ovvero più volte con insistenza", con la conseguenza che anche due sole condotte sono da ritenere sufficienti a concretare il requisito della reiterazione richiesto dalla norma.

Anche la censura mossa dal difensore in punto di adeguatezza della misura cautelare è stata ritenuta infondata dalla Corte, che ha sottolineato come l'impugnata motivazione del tribunale del riesame, quale giudice dell'appello cautelare, fosse ineccepibile e diffusa, posto che nella stessa risultano evidenziati i numerosi e gravi precedenti penali dell'indagato, che ne rivelano la capacità a delinquere e la tendenza all'uso della violenza.

Sebbene evocata nei motivi di ricorso, con la sentenza n. 6417/2010 la Suprema Corte non ha tuttavia affrontato l'altra delicata questione, quella riguardante il divieto di retroattività della norma incriminatrice.

Trattandosi di reato abituale, infatti, viene da chiedersi se le condotte antecedenti l'entrata in vigore del d.l. 11/2009 possano essere prese in considerazione ed utilizzate per ritenere sussistente il reato all'atto della realizzazione dell'ultima condotta.

In dottrina, l'orientamento prevalente[6] ritiene che nel caso di successione di norma creatrice di una nuova tipologia di illecito abituale potranno essere ricondotte entro la nuova disciplina solo le fattispecie concrete realizzate sotto la sua vigenza, se complete sotto il profilo costitutivo, senza possibilità di cumulo con le condotte anteriori, salvo incorrere, diversamente, nell'applicazione retroattiva della norma creatrice del reato abituale. Ma tale orientamento sembra riferirsi al c.d. reato abituale proprio, laddove la norma di nuova creazione considera reato la reiterazione di condotte che, se isolatamente valutate, possono anche non avere rilevanza penale[7]. Nel caso del delitto di atti persecutori, invece, l'art. 612-bis c.p. considera reato condotte che generalmente costituirebbero, anche se isolatamente valutate, illecito penale (minaccia, molestia, ingiuria, violenza privata, ecc.).

Sul punto, con riguardo a reati abituali, non si registrano specifiche posizioni della giurisprudenza di legittimità e, pertanto, la pronuncia in esame avrebbe potuto costituire una buona occasione. Si può tuttavia osservare che, con riferimento a reati a consumazione prolungata (come, ad esempio, la truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, ex art. 640-bis c.p.), la Suprema Corte ha valorizzato condotte antecedenti l'entrata in vigore della norma incriminatrice[8]. Ancora, occupandosi del reato previsto dall'art. 9, l. 27 dicembre 1956, n. 1423, consistente nella condotta di colui che venga sorpreso in compagnia di pregiudicati, la Corte di Cassazione[9], sulla premessa che il reato in questione si consuma nel momento in cui cessa la condotta abituale di frequentazione, ha stabilito che la modifica apportata all'art. 9 dalla l. 31 luglio 2005, n. 155 (che ha trasformato la contravvenzione in delitto) è applicabile anche se solo una parte della condotta è stata posta in essere dopo l'entrata in vigore della legge più sfavorevole, in quanto l'art. 2 c. 4 c.p. fa riferimento al tempo in cui è stato commesso il reato e cioè a quello in cui si è consumato[10].

Qualche pronuncia di merito, emessa in sede cautelare (tribunale Pistoia, n. 2651/09 RG GIP, inedita; tribunale Pistoia, n. 607/08 RG DIB, inedita), si è orientata nel qualificare sotto l'art. 612-bis c.p. anche condotte "persecutorie" realizzate sia prima che dopo l'entrata in vigore della stessa, non ravvisando contrasti con il divieto di irretroattività della nuova fattispecie, sostanzialmente sulla base dell'assunto secondo cui essa, in quanto reato abituale, è da ritenersi applicabile anche se solo una parte della condotta sia stata posta in essere dopo l'entrata in vigore della norma meno favorevole
 
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vucceddrata2k9
view post Posted on 15/12/2010, 14:34




andava postato nell'altra sezione
 
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]M3D[
view post Posted on 15/12/2010, 14:35




scusate con il cell. non si riconoscono bene le pagine ...
 
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gn4pp3tt4
view post Posted on 15/12/2010, 14:35




CITAZIONE (]M3D[ @ 15/12/2010, 14:33)
2a traccia ....

riferimenti:

SENT 2010 14914 IN SENSO FAVOREVOLE

SENT 2010 28210 IN SENSO CONTRARIO


Pretesa di denaro dai genitori con maltrattamenti e lesioni, è tentata estorsione
Cassazione penale, sez. VI, sentenza 19.04.2010 n. 14914
Si configura la fattispecie della tentata estorsione in danno dei genitori qualora il figlio chieda loro del Denaro con il ricorso a maltrattamenti e a lesioni, ovvero "in assenza di condizioni legittimanti la pretesa consegna" della suddetta somma.
È quanto ha recentemente statuito la Corte di Cassazione con la sentenza 19 aprile 2010, n. 14914 con la quale i Giudici di legittimità hanno negato la sussistenza del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni di cui all'art. 393 c.p., ritenendo, di converso, ravvisabile quello ex art. 630 c.p..
Nel caso de quo, il soggetto ricorre in Cassazione avverso la sentenza della Corte d'Appello con la quale era stato condannato per i reati di tentata estorsione, maltrattamenti in famiglia e lesioni in danno della madre, ritenendo legittima la sua condotta considerato che, all'epoca dei fatti, privo di lavoro, aveva diritto, per il grado di parentela, ad ottenere un contributo da parte dei genitori.
Tuttavia, il Supremo Collegio, nel dichiarare l'inammissibilità del ricorso, ritiene corretta la qualificazione giuridica del reato ex art. 629 c.p.. I giudici di legittimità, pur ammettendo che i genitori debbano sottostare alle disposizioni di cui agli artt. 147 e 148 c.c., per quanto concerne il mantenimento dei figli, sino a quando questi ultimi non abbiano raggiunto una sostanziale indipendenza economica - indipendentemente o meno dalla maggiore età - ritengono che nel caso di specie la richiesta di denaro sia avvenuta con "modalità violente" accertate; inoltre, "non risulta affatto la prova che le somme fossero destinate al mantenimento dell'imputato". Quindi non vi è prova circa la corrispondenza causale tra la richiesta di denaro e l'esercizio di un diritto dell'imputato quale il mantenimento per mezzo dell'ausilio dei genitori.
Secondo la Corte di Cassazione, quindi, il "difetto di tale essenziale connotazione causale dell'agire del ricorrente" non può che far propendere per "l'azione esecutiva e la soggettività del delitto di estorsione".
Delitto di estorsione ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni: brevi spunti di riflessione
Un aspetto particolarmente interessante del delitto di cui all'art. 629 c.p. consiste nel suo rapporto con l'altro delitto preso in considerazione dalla sentenza in commento, ovvero l'esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle persone. Da sempre la giurisprudenza si è preoccupata di individuare gli elementi differenziali di queste due fattispecie, opinando, in maniera oramai consolidata, per un criterio di carattere soggettivo.
Invero, merita accoglimento l'impostazione ermeneutica che distingue i due reati sotto il profilo dell'elemento soggettivo, che per l'estorsione si configura nel fine di conseguire un profitto, nella consapevolezza di non averne alcun diritto o titolo; nel secondo si ha la ragionevole opinione - pur errata - della sussistenza di esso.
Orbene, si configurerà correttamente l'ipotesi punitiva di cui all'art. 393 c.p. ove il soggetto agisca nella "convinzione ragionevole della legittimità delle propria pretesa", nonché "che quanto egli vuole gli compete" (V., ex multis, Cass., Sez. II, 15.06.04, n. 26887). Pertanto, ciò che rileva ai fini discretivi, non è tanto la condotta materiale posta in essere - che può essere addirittura identica nei due casi - quanto l'elemento intenzionale che solo nella estorsione è caratterizzato dalla consapevolezza che quanto il reo pretenda non gli è in alcun modo dovuto. Tuttavia, accanto a questo filone interpretativo, si può rinvenire un costante orientamento giurisprudenziale - cui sembra conformarsi la sentenza in esame - secondo il quale la finalità estorsiva della condotta posta in essere potrebbe di per sé rinvenirsi nella stessa modalità costrittiva. Aderendo a tale impostazione, quindi, si sostiene che se la minaccia o la violenza si manifestano in forme di tale forza intimidatoria da andare al di là di ogni ragionevole intento di far valere un proprio preteso diritto, allora la coartazione non può che integrare i caratteri dell'ingiustizia e l'ipotesi concreta quelli dell'art. 629 c.p. (V., tra le altre, Cass., Sez. II, 10.12.04, n. 47972).
Ciò trova conferma nella circostanza che, secondo costanti interventi della Suprema Corte, nel delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, la condotta violenta o minacciosa deve essere proporzionale e strettamente connessa con la pretesa di un diritto; agendo diversamente si avrebbe, infatti, un utilizzo gratuito ed, appunto, sproporzionato della forza, tale da imporre un annullamento o una limitazione della capacità di autodeterminazione della volontà del soggetto passivo (Cass., Sez. II, 26.09.07, n. 35610).

VA POSTATO NELL'ALTRA SEZIONE..NON CONFONDIAMO CHI STA LAVORANDO X LA 1 TRACCIA
 
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paperinika312
view post Posted on 15/12/2010, 14:36




Credo che oltre al parere copiato da mininterno non si redigerà altro... non so nemmeno se qualcuno stia integrando quello...
Io non sono un avvocato, chiederei quindi a mukkopazzo di fare qualche modifica al suddetto parere, aggiungendo la giurisprudenza.
Capisco che non voglia postare il suo per salvaguardare i suoi amici, ma questo penso possa farlo.
 
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riro73
view post Posted on 15/12/2010, 14:36




Lo ricopio nell'altra sezione o ci pensano gli amministratori ad eliminare da qua e metterlo nella sezione giusta?
Per non creare confusione
 
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Gneca52
view post Posted on 15/12/2010, 14:37




QUESTA è UNA SOLIZIONE POSTATA E CORRETTA SU: http://helpdesk2010.forumcommunity.net/?t=42471629&st=120. SPERO POSSA ESSERE UTILI

La soluzione del quesito proposto richiede l'analisi del delitto di il delitto di atti persecutori (c.d. "stalking"), di cui all'art. 612-bis c.p..
Si tratta di un reato comune, non essendo richiesta in capo all'agente la sussistenza di una determinata qualifica, introdotto per dal legislatore per incriminare tutti quei comportamenti che determinano nella vittima uno stato di disequilibrio psicologico e, quindi, per tutelare l'incolumità individuale
La condotta tipica, infatti, consiste nella reiterazione di comportamenti minacciosi art. 612, o molesti art. 660cp., tali da determinare nella vittima "un grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di una persona legata alla medesima da relazione sentimentale affettiva ovvero da costringere la stessa ad alterare le proprie abitudini di vita.
Quanto all'elemento soggettivo, viene richiesto il dolo generico e, quindi, è sufficiente che l'agente si rappresenti e voglia anche l'evento, quale conseguenza della sua azione.
Il reato si consuma nel momento in cui si verifica , quale effetto delle reiterate condotte minacciose o moleste, uno o più degli eventi tipici previsti dalla norma.
L'illecito evoca pertanto la figura del reato abituale, pur discostandosi da tale modello per la previsione di un evento tipico.
Tale norma è entrata in vigore proprio il 25 febbraio 2009, essendo stata introdotta nel nostro ordinamento con il d.l. 23 febbraio 2009, n. 11, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 45 del 24 febbraio ed entrato in vigore il giorno successivo alla pubblicazione.
E' quindi, necessario valutare, se gli atti persecutori hanno, iniziati nel novembre 2008, siano terminati prima dell'entrata in vigore della fattispecie delineata, o Tizio abbia continuato a perseguire Caia anche dopo l'entrata dell'art.612-bis.
Nel primo caso, si potrà rassicurare Tizio sulla impossibilità giuridica della nascita di procedimenti penali nei suoi confronti in virtù del principio costituzionale della irretroattività della nuova fattispecie.
Qualora, invece, tizio abbia continuato a molestare Caia, anche dopo l'entrata della normativa occorre vedere se la molestia gli atti successivi siano soltanto uno ovvero abbia commesso più comportamenti.
Nel secondo caso sussisterebbe sicuramente il reato.
Ed, infatti, il termine "reiterare" utilizzato dal legislatore, denota la "ripetizione di una condotta una seconda volta ovvero più volte con insistenza", e quindi è sufficiente, per la sussistenza del delitto de quo, il compimento di due soli atti di persecuzione.
Qualora, invece, gli atti di persecuzione, siano stai commessi in un unica occasione, sebbene dopo l'entrata della normativa, non sussisterà la reiterazione, quale elemento costitutivo della fattispecie, con la conseguenza che i singoli atti non integreranno il delitto di atti persecutori bensì altre fattispecie già conosciute dall'ordinamento (es.: minaccia, molestie, violenza privata), eventualmente unite dal vincolo della continuazione (art. 81 c.p.).
La struttura del reato di atti persecutori è quindi disegnata sul modello del reato necessariamente abituale, caratterizzato dalla sussistenza di una serie di fatti commissivi. Il reato si perfeziona allorché si realizzi un minimo di tali condotte collegate da un nesso di abitualità e può formare oggetto anche di continuazione, ex art. 81 cpv. c.p., come nell'ipotesi in cui la reiterazione sia interrotta da un notevole intervallo di tempo tra una serie di episodi e l'altra[2]. Pertanto, se nel periodo considerato si verifica una parentesi di normalità nella condotta del soggetto attivo, un intervallo di tempo fra una serie e l'altra di episodi lesivi del bene giuridico tutelato dalla norma, non viene meno l'esistenza del reato, ma ciò può dar luogo alla continuazione.
Tuttavia, trattandosi di reato abituale, occorre valutare se le condotte antecedenti l'entrata in vigore del d.l. 11/2009 possano essere prese in considerazione ed utilizzate per ritenere sussistente il reato all'atto della realizzazione dell'ultima condotta.
Sul punto, con riguardo a reati abituali, non si registrano specifiche posizioni della giurisprudenza di legittimità .
Si può tuttavia osservare che, con riferimento a reati a consumazione prolungata (come, ad esempio, la truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, ex art. 640-bis c.p.), la Suprema Corte ha valorizzato condotte antecedenti l'entrata in vigore della norma incriminatrice.
Tutto ciò in quanto, secondo la Giurisprudenza di legittimità il reato abituale si consuma nel momento in cui cessa la condotta abituale con la conseguenza che la nuova normativa è applicabile anche se solo una parte della condotta è stata posta in essere dopo l'entrata in vigore della legge più sfavorevole, in quanto l'art. 2 c. 4 c.p. fa riferimento al tempo in cui è stato commesso il reato e cioè a quello in cui si è consumato.
Alla luce di quanto espresso, la difesa dovrà , in primo luogo vedere se gli atti persecutori siano stati commessi prima o anche dopo l'entrata in vigore dell'art. 612 bis c.p.
Nella prima ipotesi tizio non potrà essere ritenuto responsabile del delitto di atti persecutori stante il principio della irretroattivitÃ
Qualora, invece, Tizio abbia commesso atti di molestia anche dopo il 25 febbraio 2009, la linea difensiva dipenderà dal fatto se questi siano stati posti in essere in un'unica occasione o in più occasioni.
Nel secondo caso la difesa avrà pochi margini di azione e, quindi è consigliabile avanzare richiesta di applicazione della pena su richiesta delle parti, il cosiddetto patteggiamento sulla pena ex art .444 c.p.p.
Viceversa, la difesa dovrà sostenere che gli atti posti in essere non possono essere collegati agli atti successivi. Tuttavia, considerato che la Suprema Corte, così come detto sopra, ha affermato il principio opposto è consigliabile avanzare richiesta di giudizio abbreviato per usufruire del beneficio della riduzione di un terzo della pena ex art. 442 c.p.p.
 
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(XXX)
view post Posted on 15/12/2010, 14:37




poi per come la vedo io è puro e semplice stalking dato che la querela viene presentata a marzo si presume che dal 25 febbraio in poi (data in cui entra in vigore il d.l.) ci siano stati comportamenti atti ad integrare la fattispecie e visto che una volta preso in considerazione il 612 bis tutti i comportamenti ANCHE PRECEDENTI rientrano in quella fattispecie il problema 612 e 660 non me lo porrei proprio ma visto che diamo per buono quel parere che accenna a quelli tanto vale fare cenni anche sulle possibili soluzioni
 
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Fibius
view post Posted on 15/12/2010, 14:40




Tribunale Milano Penale- Sentenza del 17 aprile 2009

Reati contro al persona - Delitti contro la libertà individuale - Minaccia - Stalking - art. 612 bis c.p. - Natura di reato abituale - Commissione di un solo atto di minaccia dopo l'introduzione del reato - Sufficienza - Principio di irretroattività della legge penale - Violazione - Esclusione.

Atteso il carattere abituale del reato di stalking, la sua configurabilità non è esclusa con riferimento a condotte criminose realizzate prima della sua introduzione, ma seguite da altri episodi di minaccia, anche uno solo dei quali è sufficiente che sia stato posto in essere successivamente al decreto istitutivo del reato de quo - d.l. 23/2/2009, conv. In l. 23/4/2009 -, con la conseguenza che non v'è violazione della regola della irretroattività della legge penale
 
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(XXX)
view post Posted on 15/12/2010, 14:43




c.v.d.
è da stamane che lo vado postando nel forum ma nessuno pare darmi credito
 
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Fibius
view post Posted on 15/12/2010, 14:52




io ti do credito! (tra un teste e un altro della maledettissima udienza che sto facendo !!!)
 
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214 replies since 14/12/2010, 19:17   46100 views
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