esame avvocato 2010

Gruppo di Lavoro su svolgimento Traccia 2

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servizionotificazioni1
view post Posted on 15/12/2010, 12:45




si, va bene...
 
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barbyby
view post Posted on 15/12/2010, 12:45




sicuro?
 
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pirzisi
view post Posted on 15/12/2010, 12:47




Non va bene... non è estorsione ma rapina
 
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barbyby
view post Posted on 15/12/2010, 12:49




allora è sbagliata anche la 14914..anche qlla parla di estorsione. qualcuno del settore ci aiutiiii
 
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trillina14
view post Posted on 15/12/2010, 12:52








il riferimento alle parti offese è fatto ad hoc, proprio per evitare che si cada nella trappola della rapina impropria... NON è RAPINA!!!! è ESTORSIONE!!!

IN PIU non può sussistere la rapina ne il furto (essendo reati contro il patrimonio) tra figlio e genitore.... NON CONFONDETECI TUTTI PLEASE
 
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vucceddrata2k9
view post Posted on 15/12/2010, 12:53




trilli io non sono avvocato ma pare che questa sentenza espliciti proprio il fatto della traccia......parlo della 14914....perchè non dovrebbe essere giusta?
 
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trillina14
view post Posted on 15/12/2010, 12:55




oddio la 14914 è giustaaaaa... rispondevo agli altri che dicevano della rapina!

la rapina non sussiste, è estorsione e la sentenza parla di estorsione!!!
 
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clic
view post Posted on 15/12/2010, 12:55




i commissari parlano di tentativo di estorsione non procedibile, rapina impropria e da verificare i maltrattamenti in famiglia. Inoltre vedere se c'è concorso tra rapina e lesioni visto che c'è denunzia e non querela

spero possa essere utile....ma serve un parere completo
 
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giumauro
view post Posted on 15/12/2010, 12:56




A PRESCINDERE DAL FATTO CHE NEL CASO DI SPECIE NON V'è STATA ESTORSIONE IL SEGUENTE COMMENTO FORNISCE VARI SPUNTI ARGOMENTATIVI ANCHE IN RELAZIONE ALreato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni di cui all’art. 393 c.p.,


Pretesa di denaro dai genitori con maltrattamenti e lesioni, è tentata estorsione
Cassazione penale, sez. VI, sentenza 19.04.2010 n. 14914
Si configura la fattispecie della tentata estorsione in danno dei genitori qualora il figlio chieda loro del Denaro con il ricorso a maltrattamenti e a lesioni, ovvero “in assenza di condizioni legittimanti la pretesa consegna” della suddetta somma.
È quanto ha recentemente statuito la Corte di Cassazione con la sentenza 19 aprile 2010, n. 14914 con la quale i Giudici di legittimità hanno negato la sussistenza del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni di cui all’art. 393 c.p., ritenendo, di converso, ravvisabile quello ex art. 630 c.p..
Nel caso de quo, il soggetto ricorre in Cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello con la quale era stato condannato per i reati di tentata estorsione, maltrattamenti in famiglia e lesioni in danno della madre, ritenendo legittima la sua condotta considerato che, all’epoca dei fatti, privo di lavoro, aveva diritto, per il grado di parentela, ad ottenere un contributo da parte dei genitori.
Tuttavia, il Supremo Collegio, nel dichiarare l’inammissibilità del ricorso, ritiene corretta la qualificazione giuridica del reato ex art. 629 c.p.. I giudici di legittimità, pur ammettendo che i genitori debbano sottostare alle disposizioni di cui agli artt. 147 e 148 c.c., per quanto concerne il mantenimento dei figli, sino a quando questi ultimi non abbiano raggiunto una sostanziale indipendenza economica – indipendentemente o meno dalla maggiore età – ritengono che nel caso di specie la richiesta di denaro sia avvenuta con “modalità violente” accertate; inoltre, “non risulta affatto la prova che le somme fossero destinate al mantenimento dell’imputato”. Quindi non vi è prova circa la corrispondenza causale tra la richiesta di denaro e l’esercizio di un diritto dell’imputato quale il mantenimento per mezzo dell’ausilio dei genitori.
Secondo la Corte di Cassazione, quindi, il “difetto di tale essenziale connotazione causale dell’agire del ricorrente” non può che far propendere per “l’azione esecutiva e la soggettività del delitto di estorsione”.
Delitto di estorsione ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni: brevi spunti di riflessione
Un aspetto particolarmente interessante del delitto di cui all’art. 629 c.p. consiste nel suo rapporto con l’altro delitto preso in considerazione dalla sentenza in commento, ovvero l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle persone. Da sempre la giurisprudenza si è preoccupata di individuare gli elementi differenziali di queste due fattispecie, opinando, in maniera oramai consolidata, per un criterio di carattere soggettivo.
Invero, merita accoglimento l’impostazione ermeneutica che distingue i due reati sotto il profilo dell’elemento soggettivo, che per l’estorsione si configura nel fine di conseguire un profitto, nella consapevolezza di non averne alcun diritto o titolo; nel secondo si ha la ragionevole opinione - pur errata - della sussistenza di esso.
Orbene, si configurerà correttamente l’ipotesi punitiva di cui all’art. 393 c.p. ove il soggetto agisca nella “convinzione ragionevole della legittimità delle propria pretesa”, nonché “che quanto egli vuole gli compete” (V., ex multis, Cass., Sez. II, 15.06.04, n. 26887). Pertanto, ciò che rileva ai fini discretivi, non è tanto la condotta materiale posta in essere – che può essere addirittura identica nei due casi – quanto l’elemento intenzionale che solo nella estorsione è caratterizzato dalla consapevolezza che quanto il reo pretenda non gli è in alcun modo dovuto. Tuttavia, accanto a questo filone interpretativo, si può rinvenire un costante orientamento giurisprudenziale – cui sembra conformarsi la sentenza in esame – secondo il quale la finalità estorsiva della condotta posta in essere potrebbe di per sé rinvenirsi nella stessa modalità costrittiva. Aderendo a tale impostazione, quindi, si sostiene che se la minaccia o la violenza si manifestano in forme di tale forza intimidatoria da andare al di là di ogni ragionevole intento di far valere un proprio preteso diritto, allora la coartazione non può che integrare i caratteri dell’ingiustizia e l’ipotesi concreta quelli dell’art. 629 c.p. (V., tra le altre, Cass., Sez. II, 10.12.04, n. 47972).
Ciò trova conferma nella circostanza che, secondo costanti interventi della Suprema Corte, nel delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, la condotta violenta o minacciosa deve essere proporzionale e strettamente connessa con la pretesa di un diritto; agendo diversamente si avrebbe, infatti, un utilizzo gratuito ed, appunto, sproporzionato della forza, tale da imporre un annullamento o una limitazione della capacità di autodeterminazione della volontà del soggetto passivo (Cass., Sez. II, 26.09.07, n. 35610).
 
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maricond
view post Posted on 15/12/2010, 12:56




@trillina non capisco che c'entra il riferimento con le parti offese, dal momento che l'apprensione dei soldi è stata fatta dal figlio
 
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talisker
view post Posted on 15/12/2010, 12:57




esercizio arbitrario non lo mettete proprio, non scrivete cose inutili perchè rischiate di fare pareri lunghi e inconcludenti, ricordatevi che un buon parere e max 6 facciate
 
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beton
view post Posted on 15/12/2010, 12:58




trillina anche l'estorsione è un reato contro il patrimonio comunque
 
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trillina14
view post Posted on 15/12/2010, 13:01




certo ma non è rapina!

e qualcuno diceva che era rapina e quindi la cass 14914 non era giusta!
 
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Carlo Firenze
view post Posted on 15/12/2010, 13:03




:blink: Tribunale Cassino Penale
Sentenza del 13 ottobre 2010, n. 561
Integrale

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MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA - DELITTI CONTRO L'ASSISTENZA FAMILIARE - MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA - SCHEMA DEL REATO - PERCOSSE, INGIURIE, MINACCE E PRIVAZIONI IMPOSTE ALLA VITTIMA - DISPREZZO ED OFFESA ALLA SUA DIGNITÀ - CONTINUI ATTI DI VESSAZIONE
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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI CASSINO

SEZIONE PENALE

Il Tribunale di Cassino, sezione penale, in composizione monocratica nella persona del giudice dott.ssa Donatella Perna, alla pubblica udienza del 22.9.2010 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente

SENTENZA

Nei confronti di:

Qu.Ca., nato (...) e res. ad Arce via (...)

Detenuto presente, difeso dall'avv. F.Vi. di fiducia

Imputato

572 c.p., perché, sottoponendo in modo reiterato la madre D'O.Le. ad atti di vessazione mentale e materiale, in particolare percuotendola, minacciandola e inveendo contro di lei, costringendola a cedergli quotidianamente denaro per soddisfare le sue esigenze di tossicodipendente e alcolista, tali da rendere intollerabile la convivenza, la maltrattava

81 cpv., 629 c.p., perché, minacciando di percuoterla costringeva quotidianamente la madre a corrispondergli somme di denaro non inferiori a 10 Euro per soddisfare le sue esigenze tossicodipendente e alcolista

582, 585, 577 ultimo comma, c.p., perché colpendola con calci e pugni causava alla madre D'O.Le. lesioni consistite in "frattura arco laterale V e VI costa dx, trauma contusivo coscia sx" giudicate guaribili in gg. 25.

Con l'intervento del P.M.: VPO Conte

IN FATTO E IN DIRITTO

Con decreto del 1.3.2010 il GIP in sede disponeva il giudizio immediato di Qu.Ca. innanzi a questo Tribunale per rispondere dei reati di cui in epigrafe.

All'udienza del 22.4.2010, presente l'imputato detenuto per questa causa, venivano ammesse le prove orali e documentali richieste dalle parti, ed in particolare veniva disposta su richiesta della difesa - che all'uopo produceva copiosa documentazione - perizia psichiatrica onde accertare la capacità di intendere e di volere dell'imputato al momento del fatto.

Il (...) veniva conferito l'incarico peritale e all'udienza del 17.6.2010 il perito dott. Di. illustrava in dibattimento gli esiti della perizia, secondo cui il Qu. era al momento dei fatti per cui si procede - parzialmente capace di intendere e di volere, ma capace di stare in giudizio.

Pertanto all'udienza del 8.7.2010 si procedeva con l'istruttoria dibattimentale, ed in particolare con l'audizione di D'O.Le., Qu.Ed. e del m.llo Ev.Ga.

All'udienza del 22.9.2010 veniva esaminata l'assistente sociale Ca.An. dopodiché - esaurita l'assunzione probatoria - questo Giudice dichiarava chiusa l'istruttoria dibattimentale, utilizzabili tutti gli atti assunti e le prove ritualmente espletate.

Aveva quindi luogo la discussione finale, all'esito della quale venivano rassegnate le conclusioni così come in epigrafe trascritte.

I fatti di cui al presente giudizio sono particolarmente penosi perché descrivono una tragedia familiare in cui un figlio - a causa del cronico abuso di droga e sostanze alcoliche - si è trasformato nell'aguzzino della propria madre, si da sottoporla nel corso degli anni ad ogni sorta di violenza fisica e psicologica, creandole intorno un clima invivibile, e costringendola con botte e minacce a continui esborsi di denaro per soddisfare il proprio cronico bisogno di alcol.

La notte tra il (...) ed il (...) si verificava l'episodio più grave di una serie lunghissima, in seguito al quale la signora D'O. si decideva finalmente a denunciare il figlio: come dalla stessa dichiarato, la sera del (...) Ca. aveva fatto rientro a casa completamente ubriaco e tutto sporco di feci; lo aveva invitato a farsi un bagno per evitare di sporcare il letto, ma quello aveva reagito con estrema violenza, dapprima sferrandole un potente calcio alla gamba, quindi scaricandole addosso una gragnuola di pugni e calci, tanto da lasciarla tramortita per terra, accanto alla spalliera del letto. Era rimasta in quella posizione per ore, incapace di rialzarsi per il dolore e non ascoltando Ca. le sue richieste di aiuto; finalmente verso le 2 del mattino era riuscita a rimettersi in piedi, ma i colpi subiti le avevano provocato la rottura delle costole.

D'altronde non era la prima volta che il figlio la picchiava, poiché ciò avveniva fin dal 2002, allorché erano rimasti soli in casa loro due, dopo la morte del padre e il matrimonio del fratello maggiore, verso il quale Ca. aveva maturato una profonda ed inestinguibile gelosia, essendosi convinto che la madre lo preferisse a lui e che, di comune accordo, i due volessero ucciderlo (cfr. dep. D'O. foll. 5, 6).

Questo convincimento era diventato con il tempo una costante, capace di scatenare in Ca. improvvisi attacchi di violenza fisica contro la madre; così come, aggravandosi progressivamente l'alcolismo, era diventato assai frequente che l'imputato picchiasse la donna per ottenere il denaro necessario a comprarsi da bere (cfr. dep. cit. foll. 7 - 9).

Quanto riferito dalla D'O. ha trovato riscontro nelle dichiarazioni del figlio Ed., del m.llo Ev. e dell'assistente sociale An.Ca. Tutti hanno infatti riferito di un profondo disagio perdurante nel tempo, di un figlio sempre violento nei confronti della madre e di una madre che subiva in silenzio, cercando di nascondere la situazione e di resisteremo bono pacis.

Ed.Qu., in particolare, ha detto di aver sempre sospettato che il fratello fosse violento con la madre poiché la vedeva sempre coperta di lividi, terrorizzata e soggiogata, e ciò, nonostante la reticenza di lei, che neppure in occasione dell'ultimo episodio si era confidata, salvo poi essere costretta a farlo, di fronte alle sue insistenze ("... l'ultima aggressione credo che sia avvenuta di sabato sera, io l'ho saputo il martedì perché soltanto il martedì mi sono accorto che non riusciva ad alzarsi dal letto ... i primi due giorni mi ha detto che stava male e io la vedevo immobile a letto ma non ho collegato ... me ne sono accorto il martedì dell'aggressione e solo a quel punto l'ho portata al pronto soccorso, ma con tre giorni di ritardo ..." cfr. dep. Qu.E. fol. 10).

Il teste ha raccontato di uno stato di intimidazione continua, in cui sua madre è costretta ad elargire a Ca. almeno 10 Euro al giorno, perché è terrorizzata e "dice che se non glieli da lui la mena" (cfr. dep. Cit. fol. 11).

Il m.llo Ev. a sua volta ha dichiarato di avere ricevuto nel corso degli anni molte segnalazioni circa le continue vessazioni e le percosse cui l'imputato sottoponeva la mamma; di avere raccolto qualche querela poi subito rimessa dalla D'O., terrorizzata che il figlio, con il quale era costretta a convivere, le facesse del male; di diverse occasioni in cui egli stesso era andato a casa del Qu. per farlo ragionare e ammonirlo (cfr. dep. Ev. fol. 12).

L'assistente sociale Ca. ha riferito di anni di inutile terapia spesi dietro al Qu., sempre instabile, violento, aggressivo nei confronti della madre, che picchiava ogni giorno se non gli dava il denaro che pretendeva. Aggressività che in qualche occasione non aveva esitato a dirigere persino contro di lei, allorché andava a riprenderlo nei bar dove si ubriacava per convincerlo ad andare al Ce. di salute mentale dove era in cura (cfr. dep. Ca. fol. 6).

Il delitto di maltrattamenti sub a)

Orbene, secondo il costante e consolidato orientamento giurisprudenziale della S.C., il delitto di maltrattamenti consiste nel sottoporre i familiari ad atti di vessazione continui e tali da cagionare sofferenze, privazioni, umiliazioni, che costituiscono fonte di un disagio continuo e incompatibile con normali condizioni di esistenza.

Nello schema del delitto non rientrano soltanto le percosse, le ingiurie le minacce e le privazioni imposte alla vittima, ma anche gli atti di disprezzo e di offesa alla sua dignità, che si risolvano in vere e proprie sofferenze morali.

E stato anche precisato che - data la natura abituale del reato - non rileva che durante il lasso di tempo considerato siano riscontrabili nella condotta dell'agente periodi di normalità e di accordo con il soggetto passivo ("in ordine alla configurabilità del delitto in oggetto non rileva il fatto che gli atti lesivi si siano alternati con periodi di normalità, e che siano stati, a volte, cagionati da motivi contingenti, poiché, data la natura abituale del delitto in oggetto, l'intervallo di tempo tra una serie e l'altra di episodi lesivi non fa venir meno l'esistenza dell'illecito", cfr. Cass. Sez. VI, 7.6.96, sent. n. 8396); parimenti, il fatto che i singoli episodi costituenti nel loro complesso la condotta criminosa siano stati commessi anche durante lo stato di ubriachezza, "non implica che essi siano da considerarsi frutto di volizioni episodiche perché scaturite improvvisamente dalla crisi alcolica e, quindi, non inseriti in quella unitaria coscienza e volontà di sottoporre i soggetti passivi a continui patimenti fisici e morali" (cfr. Cass. Sez. VI, sent. 12562 del 20.9.90).

Neppure si richiede una totale soggezione della vittima all'autore del reato, in quanto la norma, nel reprimere l'abituale attentato alla dignità e al decoro della persona, tutela la normale tollerabilità della convivenza (cfr. Cass. Sez. VI, 4.3.96, sent. n. 4015, da ultimo Cass. Sez. VI, 4.12.2003, sent. n. 7192).

Tanto precisato, ritiene questo Giudice che non vi siano dubbi circa la colpevolezza dell'imputato in ordine al reato di maltrattamenti ascrittogli sub a), e ciò sulla scorta della deposizione della p.o. Le.D'O. e degli altri testimoni escussi.

A tal riguardo è noto che la deposizione della persona offesa dal reato non soggiace ai criteri valutativi di cui all'art. 192 c.p.p., ma a quelli propri della testimonianza: la testimonianza può - da sola - essere posta alla base del convincimento del giudice, salva un'attenta analisi circa la credibilità soggettiva del dichiarante e l'attendibilità della sua narrazione ("In tema di valutazione della prova, la deposizione della parte lesa, anche se rappresenta l'unica prova del fatto da accertare e manchino riscontri esterni, può essere posta a base del convincimento del giudice, atteso che a tali dichiarazioni non si applicano le regole di cui ai commi 3 e 4 dell'art. 192 c.p.p., che presuppongono l'esistenza di altri elementi di prova unitamente ai quali le dichiarazioni devono essere valutate per verificarne l'attendibilità, dovendo peraltro il controllo sulle dichiarazioni della persona offesa, considerato l'interesse del quale può essere portatrice, essere più rigoroso ..." (così Cass. Sez. III, 18.10.2001 - 3.12.2001, Pa.).

E ritiene questo Giudice che la D'O. sia certamente credibile, e siano pienamente attendibili le sue dichiarazioni.

In primo luogo, va sottolineato il particolare contesto di questa vicenda, che prima ancora che processuale è familiare, con una madre che si è trovata costretta a denunciare i soprusi subiti dal figlio, e si può ben immaginare con quale fatica e con quanto dolore, com'è chiaramente trapelato nel corso della sofferta deposizione dibattimentale.

D'altronde, la D'O. non si è nemmeno costituita parte civile in giudizio, il che pure dimostra come da parte sua non vi sia alcuna aspettativa in relazione alle sorti del presente processo.

Peraltro la teste, pur nel racconto convulso che ha reso della travagliata convivenza con l'imputato, è tuttavia riuscita a fornire un quadro preciso delle numerose vessazioni patite, del clima teso presente in casa, delle violenze psicologiche come delle aggressioni fisiche subite, mostrandosi particolarmente genuina nella rievocazione dei fatti e fornendo anche più di un valido motivo - la volontà di proteggere l'altro figlio, la paura di ritorsioni, la speranza di recuperare Ca. - per cui ha cercato di resistere il più possibile e di non denunciare l'imputato.

D'altronde, le sue dichiarazioni trovano riscontro nelle precise e concordi testimonianze degli altri testi escussi, i quali hanno tutti confermato per conoscenza diretta che la povera D'O. era continuamente vessata dal figlio Ca., maltrattata, malmenata, costretta ad elargirgli denaro sotto continue violenze e minacce.

E non vi è motivo di dubitare della credibilità di tali altri testi: a prescindere, se si vuole, da Qu.Ed., intraneo al nucleo familiare di cui si discute, sia il m.llo Ev. che l'assistente sociale Ca. sono entrambi particolarmente qualificati per l'attività istituzionale svolta, certamente neutrali per l'estraneità al contesto familiare dei Qu., ben al corrente dei fatti per avere seguito le vicissitudini dell'imputato per molti anni, l'uno quale comandante dei c.c. di Arce, l'altra quale assistente sociale di quel Comune.

Ebbene, è alla luce di queste considerazioni che vanno letti gli atti e i comportamenti tenuti dal Qu. nei confronti della madre, fino al dicembre 2009, comportamenti reiterati nel tempo che, unitariamente considerati, costituiscono maltrattamenti, ed esprimono la coscienza e volontà dell'imputato di vessare la propria madre e renderle la vita impossibile.

Vanno infatti considerati maltrattamenti ex art. 572 c.p. minacciare continuamente la propria madre; aggredirla ripetutamente fino al punto di mandarla in ospedale; farla vivere in uno stato di continuo terrore, sotto la minaccia di violenze fisiche e morali, sicché senz'altro ricorrono a carico dell'imputato gli estremi oggettivi e soggettivi del delitto di maltrattamenti ascrittogli sub a).

Il reato di estorsione sub b)

Analogamente - sulla scorta delle testimonianze raccolte, tutte credibili ed attendibili per quanto già sopra detto - risulta provato a carico dell'imputato il reato sub b), essendo emerso in dibattimento che l'imputato costringeva la madre - minacciandola e malmenandola quotidianamente - ad elargirgli del denaro, per somme variabili dai 2 ai 10,00 Euro al giorno, per comprarsi da bere.

Il reato di lesioni sub c)

Ricorrono anche gli estremi del reato sub c), relativo alle lesioni subite dalla D'O. il (...) per mano del figlio, lesioni consistite in fratture della V e VI costola sinistra e in un trauma contusivo della coscia sinistra (vds. referto del 18.12.09 in atti).

Tali lesioni, infatti, come dalla stessa riferito, le sono state provocate proprio dal figlio nel corso dell'ultimo violento episodio che l'ha finalmente indotta a rivolgersi alle Forze dell'Ordine, per mettere fine ad una situazione divenuta insostenibile.

Tutto ciò precisato, all'imputato possono essere concesse le circostanze attenuanti generiche solo per mitigare l'asprezza della pena.

Si ritiene altresì di riconoscere allo stesso la diminuente di cui all'art. 89 c.p., relativa al vizio parziale di mente, e ciò sulla scorta della condivisibile perizia svolta dal dott. Di., il quale l'ha redatta dopo aver visitato personalmente il periziando ed aver esaminato la documentazione medica in atti.

Ed invero, come emerge dalla detta perizia, la storia del Qu. è quella di una persona difficile, fin dal 1993 in contatto con il Centro di Salute mentale di Sora, sottoposto a TSO nel 2004 e poi nel dicembre 2009, alcuni giorni dopo i fatti per cui si procede; è la storia di una persona refrattaria alle cure, insofferente all'inserimento in strutture terapeutico - riabilitative, e segnata così profondamente e definitivamente dall'abuso di alcool da averne riportato un deterioramento organico permanente della personalità (cfr. perizia in atti fol. 8).

In altri termini, secondo il parere del perito, "è verosimile ritenere che l'uso smodato e continuativo di alcolici abbia indotto una sofferenza delle strutture cerebrali responsabili del controllo degli impulsi, tanto da non consentire all'imputato di procrastinare la realizzazione del desiderio di assumere la sostanza da abuso e quindi reagire in maniera violenta a quanti ne ostacolano la realizzazione stessa" (cfr. perizia fol. 10).

Tali considerazioni inducono a concludere che il Qu. - nel momento in cui commetteva i reati ascrittigli - era per infermità in stato di mente tale da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità di intendere e di volere (cfr. perizia fol. 11); lo stesso quadro patologico rilevato, peraltro, depone per la attuale pericolosità sociale dell'imputato, stante l'alterazione encefalica organica alcol - indotta, lo scarso controllo degli impulsi, l'aggressività ed i tratti esplosivi della personalità che persistono nel tempo (cfr. perizia fol. 10).

Procedendo quindi alla determinazione della pena, riconosciuto tra i reati contestati il vincolo della continuazione per l'intima connessione che li caratterizza, valutato ogni elemento ex art. 133 cp., si stima congrua la condanna del Qu. alla pena di anni due e mesi otto di reclusione ed Euro 400,00 di multa (p.b. per il più grave reato di estorsione, mesi 60 di reclusione ed Euro 600,00 di multa; diminuita per le generiche alla pena di mesi 40 di reclusione ed Euro 400,00 di multa; ulteriormente diminuita ex art. 89 c.p. alla pena di mesi 30 di reclusione ed Euro 300,00 di multa; aumentata di un mese di reclusione ed Euro 50,00 di multa per la continuazione con il reato di lesioni; e di un mese di reclusione ed Euro 50,00 di multa per la continuazione con il reato di maltrattamenti; per un totale di mesi 32 di reclusione (anni due e mesi otto) ed Euro 400,00 di multa).

Consegue di diritto la condanna del Qu. al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto del carico di lavoro da cui è gravato l'ufficio, si è fissato in gg. 45 il termine per il deposito dei motivi.

P.Q.M.

Letti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara Qu.Ca. colpevole dei reati ascrittigli, unificati dal vincolo della continuazione, e concesse allo stesso le circostanze attenuanti generiche e con la diminuente di cui all'art. 89 c.p., lo condanna alla pena di anni due e mesi otto di reclusione ed Euro 400,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali.

Giorni 45 per i motivi.

Così deciso in Cassino il 22 settembre 2010.

Depositata in Cancelleria il 13 ottobre 2010.




Riferimenti:
Legge Giurisprudenza



 
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Ezra Pound
view post Posted on 15/12/2010, 13:04




la soluzione corretta al perere è quella data da trillina14 e dalla cass 14914, si prega di astenersi chi non è della materia è fà confusione
 
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216 replies since 14/12/2010, 19:34   36911 views
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