| REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BARDOVAGNI Paolo - Presidente
Dott. PAGANO Filiberto - Consigliere
Dott. BRONZINI Giuseppe - Consigliere
Dott. CERVADORO Mirella - Consigliere
Dott. RAGO Geppino - rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE di Ancona avverso la sentenza del 1/07/2008 del Tribunale di Macerata pronunciata nei confronti di:
ST. MA. nato il (OMESSO);
Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita la relazione fatta dal Consigliere dott. RAGO Geppino;
Udito il Procuratore Generale in persona del dott. STABILE Carmine ha concluso per l'inammissibilita'.
FATTO
1. Con sentenza del 1/07/2008, il Tribunale di Macerata assolveva ST. Ma. dal delitto di estorsione ai danni della madre Bo. Ad. perche' non punibile ex articolo 649 c.p..
2. Avverso la suddetta sentenza, ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Ancona deducendo VIOLAZIONE di LEGGE sotto il seguente profilo Recenti decisioni giurisprudenziali attendibilmente interpretano il concetto di "violenza alle persone", ai sensi e per gli effetti dell'articolo 649 c.p., u.c., come idoneo a ricomprendere anche la violenza cosiddetta morale, ossia quel contegno che, intimidendo il soggetto passivo, gli imponga di fare, tollerare od omettere qualche cosa, pur senza costringimento fisico, ma comunque in stato di coazione, per essere eliminata o gravemente ridotta la sua capacita' di determinarsi liberamente (cfr. S.C., Sez. 2, n. 19651/2007, Rv. 236780, e S.C., Sez. 6, n. 35528/2008). E, d'altra parte, nel caso concreto per cui e' processo, il Collegio giudicante avrebbe dovuto considerare che la minaccia si era manifestata non soltanto a livello verbale, con la pronuncia della frase intimidatoria riportata nel capo d'accusa, ma anche sul piano della fisica gestualita', con l'atto di brandire il coltello in atteggiamento di potenziale offesa imminente. Pare dunque da escludere che potesse operare la previsione di non punibilita'".
DIRITTO
3. St. Ma. fu rinviato a giudizio con il seguente capo d'imputazione: "del reato p. e p. dall'articolo 629 c.p., comma 2, perche', mediante minaccia consistita nel prendere un coltello da cucina in mano ed accostarselo alla gamba tenendolo basso e nel proferire le parole "mi sa che oggi va a fini' male", costringendo la madre Bo. Ad. , che si era rifiutata fino a quel momento di dargli del denaro, a prendere la propria borsa e a dargli il denaro, si procurava un ingiusto profitto con altrui danno. In (OMESSO)".
Il Tribunale, dopo avere accertato, in punto di fatto, che la Bo. , dopo la minaccia rivoltole dal figlio, "gli diede la somma di cinquanta euro ed il figlio se ne ando'": e', dunque, pacifico che il reato di estorsione fu consumato e che la condotta materiale si estrinseco' in un comportamento minaccioso. Il Tribunale, pur partendo da questi due presupposti di fatto, ha tratto la conseguenza, in punto di diritto, che, poiche' lo St. aveva tenuto un comportamento meramente minaccioso e non violento, il reato perpetrato non era punibile a norma dell'articolo 649 c.p., u.c. ed ha richiamato, a sostegno della suddetta decisione, la sentenza n. 20110/2002 riv 221854 di questa Corte di legittimita'. Sennonche', la decisione e' palesemente erronea essendo frutto di una non attenta lettura della sentenza invocata.
Infatti, nessuno (ne' in giurisprudenza ne' in dottrina) ha mai messo in discussione che, nelle ipotesi di delitto consumato di cui agli articoli 628 - 629 - 630 c.p., la causa di non punibilita' non opera sempre e comunque sia che il reato sia stato commesso con violenza o con minaccia, proprio perche' la testuale locuzione limitatrice "commesso con violenza alle persone" si riferisce unicamente ad "ogni altro delitto contro il patrimonio": id est ad ogni delitto contro il patrimonio ulteriore e diverso rispetto a quelli espressamente e nominativamente indicati (articoli 628, 629, 630 c.p.), dei quali dunque, pur se commessi in danno di prossimi congiunti, permane punibilita' e perseguibilita' d'ufficio ancorche' connotati dal ricorso alla minaccia e non anche dalla violenza alle persone: in terminis Cass. 22628/2001 Riv 219421. Invero, la problematica alla quale si riferisce il Tribunale riguarda tutt'altra questione e cioe' se la causa di non punibilita' concerna o meno anche le ipotesi tentate degli indicati delitti di rapina, estorsione e sequestro di persona e se nel concetto di violenza debba farsi rientrare anche la violenza psichica o la minaccia: su di che vi e' contrasto all'interno di questa stessa Corte di legittimita'.
Ma, la suddetta questione, resta estranea alla problematica del presente processo in relazione al quale e' sufficiente ribadire il seguente principio di diritto al quale il giudice di rinvio (da individuarsi nella Corte di Appello di Ancona) dovra' attenersi: "nelle ipotesi in cui i reati di cui agli articoli 628 - 629 - 630 c.p. sia stati consumati (e non solamente tentati) in danno dei prossimi congiunti indicati nell'articolo 649 c.p., comma 1, la causa di non punibilita' resta sempre e comunque esclusa essendo irrilevante che i suddetti delitti siano stati perpetrati con violenza o minaccia".
P.Q.M.
ANNULLA La sentenza impugnata quanto al capo a) e RINVIA Alla Corte di Appello di Ancona.
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