esame avvocato 2010

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RASCIS
view post Posted on 15/12/2010, 12:49 by: RASCIS




HO TROVATO QUESTA
Stalking: quanti episodi sono necessari per integrare la reiterazione?
Cassazione penale , sez. V, sentenza 17.02.2010 n° 6417
Integrano il delitto di atti persecutori, di cui all’art. 612-bis c.p., anche due sole condotte di minaccia o di
molestia, come tali idonee a costituire la reiterazione richiesta dalla norma incriminatrice.
Cosi hanno affermato i giudici della Suprema Corte con la sentenza 21 gennaio 2010, n. 6417
(depositata il 17 febbraio 2010), con una delle prime pronunce di legittimità riguardanti il delitto di atti
persecutori (c.d. “stalking”), ex art. 612-bis c.p.
Nel caso di specie il GIP rigettava l’istanza di revoca o di sostituzione della misura cautelare degli
arresti domiciliari presentata dall’indagato.
A seguito di appello ex art. 310 c.p.p., il tribunale del riesame confermava il provvedimento di rigetto
emesso dal GIP, evidenziando come l’indagato si fosse reso autore non solo di vari reati (minacce,
violenza privata e danneggiamento) commessi in epoca compresa fra il 2 gennaio ed il 21 febbraio
2009, ma anche di ulteriori condotte poste in essere nei giorni 25 e 26 febbraio 2009.
In proposito è utile ricordare come la fattispecie di cui all’art. 612-bis c.p. sia entrata in vigore proprio
il 25 febbraio 2009, essendo stata introdotta nel nostro ordinamento con il d.l. 23 febbraio 2009, n. 11,
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 45 del 24 febbraio ed entrato in vigore il giorno successivo alla
pubblicazione. Con la legge n. 38 del 23 aprile 2009, il Parlamento ha poi convertito con modificazioni
il d.l. 11/2009. Si osserva, infatti, come uno dei profili problematici, soprattutto nella prima fase di
applicazione della norma, riguardi l’irretroattività della nuova fattispecie. Si pensi, come nel caso in
esame, all’ipotesi in cui le condotte persecutorie commesse in epoca successiva all’entrata in vigore del
decreto legge si vadano ad aggiungere ad altre realizzate precedentemente.
Un altro degli aspetti che caratterizza l’elemento oggettivo del delitto di cui all’art. 612-bis c.p. consiste
nella reiterazione delle condotte persecutorie. Le minacce e/o le molestie devono essere reiterate,
seriali, devono cioè succedersi nel tempo. La reiterazione è, infatti, elemento costitutivo della
fattispecie[1], con la conseguenza che i singoli atti, se posti in essere in un unica occasione, non
integrano il delitto di atti persecutori bensì altre fattispecie già conosciute dall’ordinamento (es.:
minaccia, molestie, violenza privata), eventualmente unite dal vincolo della continuazione (art. 81 c.p.).
La struttura del reato di atti persecutori è quindi disegnata sul modello del reato necessariamente
abituale, caratterizzato dalla sussistenza di una serie di fatti commissivi. Il reato si perfeziona allorché
si realizzi un minimo di tali condotte collegate da un nesso di abitualità e può formare oggetto anche di continuazione, ex art. 81 cpv. c.p., come nell’ipotesi in cui la reiterazione sia interrotta da un notevole
intervallo di tempo tra una serie di episodi e l’altra[2]. Pertanto, se nel periodo considerato si verifica
una parentesi di normalità nella condotta del soggetto attivo, un intervallo di tempo fra una serie e
l’altra di episodi lesivi del bene giuridico tutelato dalla norma, non viene meno l’esistenza del reato, ma
ciò può dar luogo alla continuazione.
In relazione al reato necessariamente abituale la mancata indicazione del numero di episodi necessario
per integrare la serie minima può comportare qualche tensione con il principio di determinatezza.
Ciò premesso, si osserva come, nel caso di specie, il difensore dell’indagato abbia proposto ricorso per
cassazione basando i motivi proprio sulle due questioni poco sopra richiamate: assumeva, infatti, che
gli episodi precedenti l’entrata in vigore della norma incriminatrice non potevano essere presi in alcuna
considerazione, con la conseguenza che le due sole condotte del 25 e 26 febbraio 2009 non erano
suscettibili di integrare il delitto di atti persecutori, data la natura abituale dello stesso. Sotto diverso
profilo, quello dell’adeguatezza della misura, il difensore evidenziava altresì che le esigenze cautelari
avrebbero potuto essere soddisfatte con la più lieve misura del divieto di avvicinamento ai luoghi
frequentati dalla persona offesa, introdotta dall’art. 282-ter c.p.p..
La Suprema Corte, osservando come il termine “reiterare” denoti la “ripetizione di una condotta una
seconda volta ovvero più volte con insistenza”, rigettava il ricorso presentato dal difensore
dell’indagato ed enunciava il principio di diritto in base al quale anche due sole condotte di minaccia o
di molestia sono idonee a costituire la reiterazione cui l’art. 612-bis c.p. subordina la configurazione
della materialità del fatto.
In sede di commento a prima lettura del reato di nuovo conio, all’indomani della sua entrata in vigore
ed in attesa delle prime pronunce di legittimità, si era sostenuto[3] che il numero minimo di condotte
richieste per l’integrazione della materialità del fatto avrebbe dovuto essere individuato, nell’ambito
della discrezionalità del giudice, anche sulla base della capacità della condotta persecutoria di
ingenerare gli eventi previsti dalla norma. Peraltro, la stessa giurisprudenza di legittimità, in relazione
al delitto di maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli, di cui all’art. 572 c.p., aveva talvolta portato
l’interprete ad interrogarsi sul concetto stesso di reato necessariamente abituale[4]. La Suprema Corte,
inoltre, per tracciare la linea di confine fra la configurazione di ripetuti atti lesivi all’interno di un
contesto familiare ed il delitto abituale di maltrattamenti in famiglia, anche recentemente[5] aveva posto
l’accento sull’elemento psicologico, giungendo ad escludere la sussistenza del requisito della abitualità
sulla base del rilievo secondo cui i singoli atti lesivi avevano rappresentato forme espressive di reazioni
determinate da tensioni contingenti, anche se non infrequenti, nel contesto familiare in questione. Tali
atti, infatti, non erano risultati tra loro connessi e cementati dalla volontà unitaria e persistente
dell’agente di sottoporre i soggetti passivi ad ingiuste sofferenze morali o fisiche, sì da rendere
abitualmente doloroso il rapporto relazionale.
Nella pronuncia oggetto del presente commento, invece, i giudici di legittimità hanno basato la loro
decisione esclusivamente sul significato letterale del termine “reiterare”, evidenziando come lo stesso
denoti “la ripetizione di una condotta una seconda volta ovvero più volte con insistenza”, con la
conseguenza che anche due sole condotte sono da ritenere sufficienti a concretare il requisito della
reiterazione richiesto dalla norma.
Anche la censura mossa dal difensore in punto di adeguatezza della misura cautelare è stata ritenuta
infondata dalla Corte, che ha sottolineato come l’impugnata motivazione del tribunale del riesame,
quale giudice dell’appello cautelare, fosse ineccepibile e diffusa, posto che nella stessa risultano evidenziati i numerosi e gravi precedenti penali dell’indagato, che ne rivelano la capacità a delinquere e
la tendenza all’uso della violenza.
Sebbene evocata nei motivi di ricorso, con la sentenza n. 6417/2010 la Suprema Corte non ha tuttavia
affrontato l’altra delicata questione, quella riguardante il divieto di retroattività della norma
incriminatrice.
Trattandosi di reato abituale, infatti, viene da chiedersi se le condotte antecedenti l’entrata in vigore del
d.l. 11/2009 possano essere prese in considerazione ed utilizzate per ritenere sussistente il reato all’atto
della realizzazione dell’ultima condotta.
In dottrina, l’orientamento prevalente[6] ritiene che nel caso di successione di norma creatrice di una
nuova tipologia di illecito abituale potranno essere ricondotte entro la nuova disciplina solo le
fattispecie concrete realizzate sotto la sua vigenza, se complete sotto il profilo costitutivo, senza
possibilità di cumulo con le condotte anteriori, salvo incorrere, diversamente, nell’applicazione
retroattiva della norma creatrice del reato abituale. Ma tale orientamento sembra riferirsi al c.d. reato
abituale proprio, laddove la norma di nuova creazione considera reato la reiterazione di condotte che, se
isolatamente valutate, possono anche non avere rilevanza penale[7]. Nel caso del delitto di atti
persecutori, invece, l’art. 612-bis c.p. considera reato condotte che generalmente costituirebbero, anche
se isolatamente valutate, illecito penale (minaccia, molestia, ingiuria, violenza privata, ecc.).
Sul punto, con riguardo a reati abituali, non si registrano specifiche posizioni della giurisprudenza di
legittimità e, pertanto, la pronuncia in esame avrebbe potuto costituire una buona occasione. Si può
tuttavia osservare che, con riferimento a reati a consumazione prolungata (come, ad esempio, la truffa
aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, ex art. 640-bis c.p.), la Suprema Corte ha
valorizzato condotte antecedenti l’entrata in vigore della norma incriminatrice[8]. Ancora, occupandosi
del reato previsto dall’art. 9, l. 27 dicembre 1956, n. 1423, consistente nella condotta di colui che venga
sorpreso in compagnia di pregiudicati, la Corte di Cassazione[9], sulla premessa che il reato in questione
si consuma nel momento in cui cessa la condotta abituale di frequentazione, ha stabilito che la modifica
apportata all’art. 9 dalla l. 31 luglio 2005, n. 155 (che ha trasformato la contravvenzione in delitto) è
applicabile anche se solo una parte della condotta è stata posta in essere dopo l’entrata in vigore della
legge più sfavorevole, in quanto l’art. 2 c. 4 c.p. fa riferimento al tempo in cui è stato commesso il reato
e cioè a quello in cui si è consumato[10].
Qualche pronuncia di merito, emessa in sede cautelare (tribunale Pistoia, n. 2651/09 RG GIP, inedita;
tribunale Pistoia, n. 607/08 RG DIB, inedita), si è orientata nel qualificare sotto l’art. 612-bis c.p. anche
condotte “persecutorie” realizzate sia prima che dopo l’entrata in vigore della stessa, non ravvisando
contrasti con il divieto di irretroattività della nuova fattispecie, sostanzialmente sulla base dell’assunto
secondo cui essa, in quanto reato abituale, è da ritenersi applicabile anche se solo una parte della
condotta sia stata posta in essere dopo l’entrata in vigore della norma meno favorevole

[1] Cfr. Caringella-De Palma-Farini-Trinci, Manuale di Diritto Penale, Parte Speciale, Roma, 2010, 1027 ss..
[2] In questo senso Cass. pen, sez. VI, 27 aprile 1995, n. 4636, RV 201148.
[3] Panarello, Modifiche al codice penale, in Tovani-Trinci (a cura di), Lo stalking. Il reato di atti persecutori
(art. 612-bis c.p.) e le altre modifiche introdotte dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, Roma, 2009, 50 ss..
[4] Cfr. Cass. pen., sez. VI, 14 dicembre 2006, n. 40789, inedita, che ha utilizzato il dolo come linea di
discrimine fra plurimi reati di percosse ed il delitto di maltrattamenti in famiglia, tipico reato necessariamente
abituale. Nel caso di specie le condotte violente ed offensive del marito nei confronti della moglie non sono state
ricondotte ad un carattere di abitualità né collegate a un dolo unitario di vessazione. Più precisamente, si è
ritenuto che siffatte condotte fossero espressione di una reattività estemporanea che affondava le sue radici nel
clima di dissidio tra i coniugi, derivante sia dalla diversa religione praticata dalla moglie sia, soprattutto, dalla
relazione adulterina intrattenuta dal marito, che tuttavia la congiunta era disposta a subire, non sollecitando la
separazione. Nel caso di specie, dunque, non è stata ravvisata la sussistenza del reato abituale.
[5] Cfr. Cass. pen., sez. VI, 13 febbraio 2009, n. 6490, in Strumentario Avvocati – Rivista Diritto e Procedura
Penale, 5/2009, p. 63 con nota di Gullì.
[6] Mantovani, Diritto penale – parte generale, Padova, 2007, pp. 119 ss..
[7] È noto, infatti, che ove i singoli atti del reato abituale, di per sé, non costituiscano reato, si avrà il reato
abituale proprio; ove, invece, i singoli atti, di per sé, costituirebbero autonome figure di reato, si ha il reato
abituale improprio.
[8] Cfr. Cass. pen., sez. II, 6 luglio 2007, n. 26256, RV 237299, la quale, avendo individuato il momento
consumativo del delitto di cui all’art. 640-bis c.p. con quello della cessazione dei pagamenti, che segna anche la
fine dell’aggravamento del danno, in ragione della natura di reato a consumazione prolungata, ha escluso
l’illegittimità del sequestro per equivalente finalizzato alla confisca che era stato disposto nonostante che il
contratto di mutuo allo scopo fosse precedente all’entrata in vigore della l. 29 settembre 2000, n. 300, che ha
inserito nel codice penale l’art. 640-quater.
[9] Cass. pen., sez. I, 14 giugno 2006, n. 20334, Rv. 234284.
[10] Per un approfondimento, si consenta di rinviare a Panarello, Modifiche al codice penale, cit., pp. 47 ss..
 
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