esame avvocato 2010

Lavoro su svolgimento Traccia 1, Qui potete lavorare allo svolgimento della Traccia 1

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theus
view post Posted on 14/12/2010, 16:35




mi auguro che sotto non ci sia un fake o un troll con l'unico scopo di inc...re tutti...
 
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mentore73
view post Posted on 14/12/2010, 16:36




CITAZIONE (Big-Jimrg79 @ 14/12/2010, 16:29) 
CITAZIONE (mentore73 @ 14/12/2010, 16:26) 
NON ESISTE CON QUESTA DATA!
Che banca dati usi?

Autorità: Corte appello Milano
Data: 24 settembre 2008
Numero:
Parti: -
Fonti: Giur. merito 2009, 6, 1536 (s.m.)

OK grazie e speriamo che i riferimenti siano corretti se no sono c...i amari! :wacko:
 
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lucaantonio734
view post Posted on 14/12/2010, 16:37




ora
 
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gn4pp3tt4
view post Posted on 14/12/2010, 16:37




CITAZIONE (theus @ 14/12/2010, 16:35)
mi auguro che sotto non ci sia un fake o un troll con l'unico scopo di inc...re tutti...

io ho mandato il parere di liquid,ma al mio ragazzo era arrivato anche un altro parere...
speriamo che quest'anno vada bene..
 
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chicago09
view post Posted on 14/12/2010, 16:39




cmq C.d.A di Milano 24 settembre 2010 è corretto.
 
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mentore73
view post Posted on 14/12/2010, 16:43




RAGA QUI VI POSTO UN PARERE MOLTO LUNGO!
SE OPERATE DEI TAGLI NE POSSONO USCIRE TRE QUATTRO DIVERSI


Se al cliente il diritto di recesso è riconosciuto dalla legge nella forma più ampia, soprattutto a motivo dell'intuitus personae, che caratterizza il contratto d'opera intellettuale, anche al professionista viene concessa la facoltà di recedere dal rapporto, ma con alcune limitazioni.
In base all'art. 2237, comma 2, c.c., infatti, il prestatore d'opera può recedere solo per giusta causa.
La differente disciplina del recesso per il cliente e per il professionista ha dato adito a dubbi circa la conformità alla Costituzione dell'art. 2237 c.c.; dubbi peraltro fugati dalla Corte costituzionale, che non ha ritenuto fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata, motivando la sua decisione con la sostanziale diversità dei due rapporti.
Sull'infondatezza della questione di costituzionalità dell'art. 2237 c.c., in rapporto al principio di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost., nella parte in cui regola il recesso del professionista in modo diverso da quello del committente, si veda Corte cost. 13 febbraio 1974, n. 25, cit.
Secondo tale pronunzia, il diritto di recesso unilateralmente riconosciuto al cliente non dà origine ad una disparità di situazioni nei confronti del prestatore d'opera, ma si sostanzia in una posizione negoziale che deriva razionalmente dalla struttura stessa del rapporto contrattuale e dalla differente natura delle rispettive prestazioni.
Considerata la natura del negozio, è pienamente razionale che il prestatore d'opera non abbia diritto alla prosecuzione del rapporto, una volta che il cliente abbia revocato l'incarico, così come è razionale che lo stesso professionista non possa recedere discrezionalmente dal contratto se non per giusta causa e in maniera da evitare qualsiasi pregiudizio al committente.
In particolare, può dirsi che la differenza di posizioni si fonda nella evidenza pubblica dell'esercizio della professione e, quindi, nella natura pure pubblica dell'interesse da tutelare, che incorpora in sé l'interesse delle parti private.
Per quanto attiene alla definizione della giusta causa, necessaria, in base alla normativa codicistica, per il recesso del professionista, si è rilevato come sia difficile stabilirne una individuazione a priori, poiché si concreta, in genere, in circostanze la cui valutazione può essere compiuta solo caso per caso.
Si ritengono, comunque, qualificabili come giuste le cause che interferiscono sul necessario affidamento nei riguardi della prestazione anche da parte di chi si è impegnato a porla in essere, venendo, perciò, in rilievo circostanze sopravvenute tali da non consentire al professionista di adempiere ai suoi obblighi con l'obiettività e le cognizioni richieste dalla natura della prestazione.
Venendo a qualche esempio pratico, una giusta causa di recesso può rinvenirsi nel comportamento del cliente (ad esempio, il mancato anticipo delle spese occorrenti, il rifiuto di collaborare quando la collaborazione condizioni la prestazione, la sopravvenuta condanna del cliente per reati infamanti secondo la coscienza popolare e in relazione alla natura del rapporto professionale, ecc.).
Su questo punto, si rinvengono alcune limitazioni nei principi e nelle regole di deontologia professionale, in particolare in materia di professione medica, poiché la tutela della salute e la preminenza dell'interesse del malato dominano il rapporto in ogni sua vicenda.
In ordine ai compensi dovuti al professionista, rileva come, mentre nella fattispecie di recesso del cliente il professionista riceve un compenso pieno per l'opera che ha svolto, nel caso in cui sia esso a recedere per giusta causa dal contratto ha diritto, oltre che al rimborso per le spese sostenute, ad un onorario determinato con riguardo al risultato utile che il cliente abbia conseguito (art. 2237, comma 2, c.c.).
Con questa precisazione, il legislatore implicitamente ammette che il diritto al compenso potrebbe anche non esservi, se il risultato non presentasse utilità alcuna. Infatti, la normale irretroattività del recesso viene ad essere ancora operante, in subordine all'esistenza di un risultato utile e, in quanto tale, non ricusabile dalla controparte. L'utilizzabilità della prestazione effettuata dovrebbe essere accertata, di preferenza, con criteri obiettivi.
Secondo parte della dottrina, invece, poichè è regola costituzionalmente protetta che l'attività lavorativa vada retribuita e poiché spesso, nei rapporti professionali di natura intellettuale, l'attività stessa si esplica in meri comportamenti, il compenso è comunque dovuto, pure se non si giunge ad alcun utile risultato.
Così, non potrebbe ammettersi che il professionista recedente per giusta causa abbia prestato invano la sua opera. Tale affermazione resta ferma anche nell'ipotesi che oggetto del contratto sia un opus. Il criterio dell'utilità potrebbe, invece, essere applicato per la determinazione di un compenso anche superiore ai minimi di tariffa, qualora dall'esecuzione parziale derivi un qualche vantaggio per il cliente.
In base al terzo comma dell'art. 2237 c.c., il recesso del professionista intellettuale deve, comunque, venire esercitato in modo da non arrecare pregiudizio al cliente ed è indice, da un lato, dell'esigenza di una particolare tutela delle ragioni del cliente, per il quale sono spesso in gioco beni primari (quali la salute, la libertà, ecc.), e, dall'altro, dell'applicazione del principio di correttezza, che deve informare l'operato del professionista, in base a disposizioni aventi natura sia civilistica (quali l'art. 1175 c.c.), sia deontologica.
La legge dispone che, per poter esercitare il diritto di recedere dal contratto, il professionista debba invocare la presenza di una giusta causa.
Quid iuris qualora il prestatore d'opera intellettuale receda senza che possa giustificare il suo atto secondo quanto disposto dall'art. 2237, comma 2, c.c.?
Secondo un'opinione, il complesso della normativa conferma la sussistenza di un'intima connessione fra interesse pubblico ed interesse privato, che è tipica del rapporto di prestazione d'opera intellettuale e ne giustifica la differente disciplina, rispetto a quella prevista per il contratto d'opera manuale.
Si deve, a tal riguardo, sottolineare che il limite della giusta causa, per il recesso del professionista, non incide sul vincolo sinallagmatico.
Infatti, la prestazione, analogamente a quella d'opera manuale, ha carattere infungibile e non se ne può ottenere l'esecuzione coattiva. Più precisamente, se per la seconda sarebbe, in ipotesi, astrattamente possibile un'esecuzione ad opera di terzi, a spese del prestatore inadempiente, ciò non è configurabile in ordine alla prestazione di carattere intellettuale, che è, evidentemente, strutturalmente legata alla persona di colui che la deve eseguire.
Di conseguenza, deve ritenersi che la manifestazione di volontà di recesso produca egualmente l'effetto estintivo del rapporto. Tuttavia, il cliente, ove ne sussistano i presupposti, può domandare ed ottenere il risarcimento dei danni subiti a seguito dell'illegittima cessazione del rapporto medesimo, sempre che l'esistenza di un danno risarcibile sia provata.
Ciò posto, Nel caso esaminato, la semplice nomina di un secondo prestatore d'opera, peraltro diversamente qualificato dal primo, non sembra costituire un elemento dirimente sul piano dell'adempimento delle obbligazioni scaturenti dal contratto, sulla cui base poter ritenere configurabile un serio ed apprezzabile vulnus al vincolo fiduciario.
Se davvero ciò fosse accaduto, la società cliente del dottore commercialista avrebbe certamente provveduto a revocare il mandato precedentemente conferito al suddetto professionista invece di decidere di affiancargli in aiuto un secondo, che peraltro, oltre ad essere dotato di uno specifico bagaglio tecnico nella stessa materia considerata, è operante in un diverso ambito professionale.
In buona sostanza, una cosa è l'insoddisfazione manifestata dal cliente per l'operato svolto dal professionista, ed un'altra, il fine coltivato dal cliente nel voler accrescere le proprie chance di vittoria - nella fattispecie, riferito al contenzioso in essere presso la commissione tributaria - con la nomina di un ulteriore prestatore d'opera, che nel caso in esame neppure potrebbe rilevare quale comportamento concludente, sulla cui scorta poter desumere implicitamente una qualche volontà del cliente di voler porre fine al rapporto. Sull'argomento, cfr. Cass., sez. II, 12 novembre 1976, n. 4181, in Mass. Giur. it. , 1976, 984.
È allora evidente come soltanto ove si versi nella prima ipotesi sarà consentito al professionista avvalersi della facoltà di rinunciare al mandato, senza che ciò comporti a suo carico la perdita del diritto ad esigere il compenso dal cliente
E, pertanto, essendo privo di giusta causa il recesso del dottore commercialista dal mandato professionale determinato esclusivamente dalla nomina di un ulteriore difensore di fiducia: ne deriva che, ai sensi dell'art. 2237 c.c., a seguito del recesso il professionista non ha diritto al rimborso delle spese fatte ed al compenso per l'opera svolta ma, al più, solo il rimborso delle spese borsuali sostenute per conto e nell'interesse del cliente salvo il risarcimento dell'eventuale pregiudizio causato al cliente.


CITAZIONE (chicago09 @ 14/12/2010, 16:39) 
cmq C.d.A di Milano 24 settembre 2010 è corretto.

Per favore nn date i numeri nn siamo al Lotto
 
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mksmiles
view post Posted on 14/12/2010, 16:43




La fattispecie oggetto della presente disamina involge la qualificazione della legittimità del recesso per giusta causa del prestatore d'opera professionale e la conseguente legittimità della richiesta, da parte del medesimo prestatore d'opera professionale, del rimborso delle spese sostenute e del compenso per l'opera professionale prestata.
Segnatamente, si domanda di effettuare una valutazione della situazione giuridica soggettiva della società Beta, la quale, con riferimento ad una controversia di natura tributaria, ha proceduto a conferire incarico di prestazione professionale nei confronti di soggetto iscritto all'albo dei dottori commercialisti ed abilitato alla difesa innanzi alle Commissioni Tributarie ai sensi dell'art. 12 D.Lgs. 546/1992; a seguito dell'instaurazione del giudizio, la società Beta ha ulteriormente proceduto, anteriormente alla discussione dell'udienza di merito della controversia, al conferimento di incarico professionale nei confronti di professionista iscritto all'albo degli avvocati. A seguito della nomina dell'ulteriore professionista, il dottore commercialista, originariamente investito della difesa in Commissione Tributaria, procede a comunicare la propria volontà di recesso dal contratto di prestazione d'opera e la contestuale intimazione di rimborso delle spese sostenute, del compenso maturato e del danno subito.
In forza di tutto quanto sopra dedotto e precisato, si domanda di conoscere la legittimità del recesso, spiegato dal professionista, e della contestuale pretesa pecuniaria.
Al fine di una compiuta disamina della fattispecie in esame, si manifesta di indubbia utilità svolgere una breve premessa in ordine alla qualificazione del contratto di prestazione d'opera professionale.

Il Legislatore, dunque, disciplina con modalità dicotomiche la facoltà di recesso unilaterale, distinguendo la posizione soggettiva del committente dalla posizione soggettiva del prestatore d'opera professionale.
In particolare, la facoltà di recesso unilaterale del committente è delineata, ai sensi del comma 1 dell'art. 2237 c.c., in maniera ampia, disponendosi la possibilità di esercitare il recesso “ad nutum”, in forza, peculiarmente, della strutturale natura fiduciaria del rapporto tra prestatore d'opera professionale e cliente. Con riferimento a tale richiamata fattispecie, il Legislatore dispone la sussistenza dell'obbligo del committente di tenere indenne il prestatore d'opera dalle spese sostenute e di corrispondere al medesimo prestatore d'opera il compenso maturato sino all'efficacia del recesso.
Si pronuncia in tal senso la Suprema Corte ( Cass. Civ. n. 14702 del 25 giugno 2007).
Al contrario, la facoltà di recesso unilaterale del prestatore d'opera professionale è disciplinata con modalità maggiormente stringenti, in maniera tale da regolamentare sia l'interesse del prestatore d'opera professionale a non rimanere vincolato ad un rapporto negoziale la cui causa è di natura fiduciaria, sia l'interesse del committente a non essere inciso dalla necessità di sostituire il professionista in relazione a mandati connotati, per lo più, dalla obbligatorietà ex lege della qualificazione del prestatore iscritto in albi professionali. In particolare, il comma 2 dell'art. 2237 c.c. subordina l'esercizio del diritto di recesso da parte del prestatore d'opera professionale alla sussistenza della “giusta causa”: qualora sussistano i requisiti della “giusta causa” il prestatore d'opera ha diritto al rimborso delle spese fatte ed al compenso dell'opera svolta, da determinarsi con riguardo al risultato utile che ne sia derivato al cliente.
Appare, dunque, di indubbia evidenza la necessità, al fine di un esame compiuto della fattispecie oggetto della presente disamina, di procedere ad un inquadramento della fattispecie astratta di “giusta causa” sottesa al recesso. In particolare, la «giusta causa» è quell'avvenimento esteriore che influendo sullo svolgimento del rapporto determina la prevalenza dell'interesse di una parte all'estinzione del rapporto sull'interesse dell'altra alla conservazione del rapporto. Dunque, il concetto di giusta causa che qui rileva, dovrebbe consistere in una situazione sopravvenuta che attiene allo stesso svolgimento del rapporto, impedendo la realizzazione della funzione economico-giuridica e, quindi, il conseguimento della causa del negozio, fonte del rapporto, considerata nel suo aspetto funzionale.
Del resto, poiché la normativa che qui interessa è caratterizzata da una certa genericità, a maggior ragione la sua interpretazione in sede applicativa richiede una stretta correlazione con lo specifico tipo di situazione oggetto d'esame.
Nel caso esaminato, la società Beta ha, in forza delle informazioni in nostro possesso, comunicato al prestatore d'opera la volontà di affiancare ulteriore professionista. In relazione, dunque, alla fattispecie qui esaminata non sembrano sussistere gli elementi idonei a sostenere la “giusta causa” del recesso del professionista. Difatti, la semplice intenzione di procedere alla nomina di un secondo prestatore d'opera, peraltro diversamente qualificato dal primo in relazione all'appartenenza ad ordine professionale, non sembra costituire un elemento dirimente sul piano dell'adempimento delle obbligazioni scaturenti dal contratto, sulla cui base poter ritenere configurabile un serio ed apprezzabile vulnus al vincolo fiduciario.
Al contrario, se davvero ciò fosse accaduto, la società cliente del dottore commercialista avrebbe certamente provveduto a revocare il mandato precedentemente conferito al suddetto professionista invece di decidere di affiancargli «in aiuto» un secondo, che peraltro, oltre ad essere dotato di uno specifico bagaglio tecnico nella stessa materia considerata, è operante in un diverso ambito professionale.
In buona sostanza, una cosa è l'insoddisfazione manifestata dal cliente per l'operato svolto dal professionista, ed un'altra, il fine coltivato dal cliente nel voler accrescere le proprie chance di vittoria, nella fattispecie, riferito al contenzioso in essere presso la commissione tributaria, con la nomina di un ulteriore prestatore d'opera. È allora evidente come soltanto ove si versi nella prima ipotesi sarà consentito al professionista avvalersi della facoltà di rinunciare al mandato, senza che ciò comporti a suo carico la perdita del diritto ad esigere il compenso dal cliente, sussistendo la giusta causa nella rottura del rapporto per il venir meno della reciproca fiducia che di norma accompagna fattispecie come quella in esame, in cui l'elemento dell' intuitus personae assume un ruolo fondamentale.
In tal senso si pronuncia la giurisprudenza di merito (Corte di Appello di Milano, 24 settembre 2008) sancendo il principio secondo il quale è privo di giusta causa il recesso del dottore commercialista dal mandato professionale scaturente dal conferimento della nomina di un ulteriore difensore di fiducia. Da ciò deriva che, ai sensi dell'art. 2237 c.c., a seguito del recesso il professionista non ha diritto al rimborso delle spese fatte ed al compenso per l'opera svolta, spettandogli esclusivamente il rimborso delle spese borsuali sostenute per conto e nell'interesse del cliente.

Pertanto, in applicazione del suesposto principio di diritto, con riferimento alla fattispecie concreta oggetto di analisi, si può concludere che il recesso del professionista, motivato dalla mera ulteriore nomina di professionista in controversia giudiziale, non sia assistito dalla “giusta causa” di cui al comma 2 dell'art. 2237 c.c.. Logico precipitato è la illegittimità della pretesa al rimborso del compenso maturato e delle presunte voci di danno, manifestandosi legittima unicamente la richiesta del prestatore d'opera professionale al ristoro delle sole spese borsuali sostenute.
 
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Maestra Sabry
view post Posted on 14/12/2010, 16:48




scusa mksmiles questo è un altro parere fatto da te? Grazie...
 
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t3m3s3n
view post Posted on 14/12/2010, 16:55




SIATE BREVI E CONCISI. Chi dovrà correggere premierà di più chi non lo farà ritardare all'appuntamento con il cliente danaroso che quello "palloso" e prolisso che vorrà dimostrargli di essere più bravo di lui
 
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chiara.scuro1900
view post Posted on 14/12/2010, 16:58




Svolgimento 1° Traccia Esame di avvocato 2010
Il contratto di prestazione d'opera intellettuale è disciplinato dagli artt. 2230 e ss. C.c. Trattasi di un tipico contratto sinallagmatico nel quale il professionista si impegna a rendere la propria attività nei limiti dell'oggetto della prestazione richiesta, mentre il cliente assume l'obbligo di provvedere al pagamento del giusto compenso.
Quanto alla prestazione del professionista è opportuno evidenziare come la stessa si differenzia rispetto alle altre prestazioni d'opera per il suo carattere marcatamente intellettuale. La disciplina codicistica consente al prestatore d'opera di svolgere la propria attività in favore del cliente, con ampia discrezionalità nella scelta delle modalità di esecuzione, e cioè con ampia facoltà di selezionare, tra le possibili soluzioni previste dalla scienza e dall'arte della singola professione, quella più confacente per la realizzazione degli interessi del cliente. Ovviamente quest'ultimo potrà dare indicazioni in ordine all'incarico conferito, le quali andranno osservate solo se compatibili con la visione tecnica del problema. Anche in tale ottica va inquadrata la norma contenuta nel secondo comma dell' art 2237 c.c.: è evidente infatti che, laddove si verifichino delle divergenze insormontabili in ordine alla conduzione dell'incarico, il professionista potrà recedere per giusta causa e pretendere dal cliente il rimborso delle spese sopportate e, qualora vi sia stata utilità per l'assistito, anche il giusto compenso per l'opera svolta.

E proprio sul concetto di "giusta causa" s'incentra il caso oggi prospettato: occorre cioè stabilire se la decisione della società beta di affiancare al commercialista inizialmente incaricato un avvocato esperto in materia fiscale, possa o meno costituire motivo di recesso per giusta causa da parte del primo. Orbene, com'è noto il rapporto su cui si basa il contratto d'opera professionale è essenzialmente di carattere fiduciario; nel momento in cui vien meno tale essenziale presupposto, cessano anche le condizioni per la proficua prosecuzione del rapporto. La volontà espressa dalla Società Beta nella missiva inoltrata al proprio commercialista va quindi interpretata al fine di appurare se la stessa integri perdita di fiducia nelle capacità professionali di quest'ultimo. In tale ottica bisogna ricordare che trattasi di una vertenza particolarmente complessa; pertanto alla Società Beta deve essere riconosciuta la facoltà di farsi assistere in giudizio, oltre cha da un esperto in materia tributaria, quale senz'altro è un commercialista, anche di un avvocato fiscalista; e ciò in considerazione delle diverse e non sovrapponibili competenze di ciascuno di loro. Il tutto al fine di far valere più compiutamente le proprie ragioni nel giudizio promosso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale. In tale ottica non v'è dubbio che la committente, lungi dal voler manifestare perplessità in ordine al lavoro ed alle capacità del Dr. Tizio, ha esercitato un suo sacrosanto diritto, senza peraltro muovere alcun appunto sull'operato di costui.

Pertanto nel caso di specie non ricorre il presupposto della "giusta causa" sancito all'art. 2237, secondo comma, c.c.; conseguentemente il recesso esercitato dal commercialista deve essere ritenuto del tutto arbitrario. La Società Beta potrà quindi legittimamente rifiutarsi di corrispondere al dr. Tizio le spese e le competenze per l'attività svolta, oltre che contestare decisamente la sua infondata pretesa risarcitoria (cfr. Corte App. Milano 24.9.2008).
Per contro, stante l'arbitrarietà del recesso esercitato dal professionista, è evidente che qualora lo stesso abbia comportato pregiudizio alla committente, sarà semmai quest'ultima ad avere il diritto di agire nei confronti del primo al fine di ottenere il risarcimento dell'eventuale danno subito, chiaro essendo il dettato di cui al terzo comma dell'art. 2237 c.c..



semplice e conciso......
 
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Giuppone
view post Posted on 14/12/2010, 17:04




mi dicono che a lecce stanno per consegnare, vi risulta?
 
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esameavvocato2010
view post Posted on 14/12/2010, 17:38




le soluzioni sono qui
https://esameavvocato2010.forumfree.it/?t=52714632

quelle sul forum helpdesk sono copiate da qui

GRAZIE a chi ha collaborato

A domani
 
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mksmiles
view post Posted on 14/12/2010, 17:44




CITAZIONE (Maestra Sabry @ 14/12/2010, 16:48) 
scusa mksmiles questo è un altro parere fatto da te? Grazie...

è stato postato prima da un utente ma non è stato preso in considerazione da nessuno. L'ho fatto leggere ad un avvocato, mi ha detto che è fatto veramente bene, forse solo un poco lungo.
 
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Maestra Sabry
view post Posted on 14/12/2010, 17:46




grazie mkmiles :)
 
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bari84
view post Posted on 14/12/2010, 17:56




scusate ma il parere pubblicato da enfre83 che ne pensate?????

pag 11 parere di enfre83 ke ne pensate
 
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179 replies since 14/12/2010, 11:22   50879 views
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